In una riflessione del lascito manoscritto (n. 903 in AA XV, pp. 394-5), ricondotta agli anni tra il 1776 e il 1778, si può trovare un hapax kantiano: l’«antropologia trascendentale». Ogni scienziato – si afferma in quelle righe – deve evitare di essere un «ciclope», vale a dire di osservare i fenomeni con un occhio solo: questa attitudine è infatti propria dell’«egoista nella scienza», che «presume troppo dal proprio sapere». Ad ogni specialista – medico, teologo, giurista, ma persino al geometra – è necessario, secondo Kant, un «secondo occhio», mediante il quale osservare i propri oggetti di studio dal punto di vista di tutti gli altri uomini. Tale prospettiva è accostata esplicitamente a quella della «critica» e dell’«autoconoscenza » della «ragione» e dell’«intelletto», mentre alla pluralità dei punti di vista vengono ricondotte l’«umanità» e la capacità di «giudicare con affabilità». Sono dunque considerazioni di siffatta portata, in quel breve testo, ad essere iscritte da Kant nella cornice di una non ulteriormente precisata «anthropologia transcendentalis».

Se l’antropologia kantiana in generale ha conosciuto interpreti anche molto illustri – si pensi a Heidegger e Foucault – questa riflessione, tranne rare eccezioni, non ha ricevuto sinora una attenzione specifica. Spesso si fa riferimento alla domanda che nella Logik riassume la tripartita prospettiva critica («che cosa è l’uomo?») per ricondurre la filosofia trascendentale all’antropologia. Ma questa interpretazione, pur dotata di fecondità speculativa, manca di appoggi testuali solidi.

Tornare sul passo in questione può perciò rivelarsi di interesse. Kant pensa ad una «antropologia trascendentale» – presumibilmente – pochi anni prima della pubblicazione della prima edizione della Critica della ragion pura, e pochi anni dopo la decisione di tenere lezioni sull’antropologia come argomento indipendente. Ma cosa intende esattamente con questa espressione? Se ne possono rinvenire delle fonti? Perché Kant lega esplicitamente l’anthropologia transcendentalis alla «critica»? Che rapporto ha questa riflessione con la filosofia trascendentale matura, da un lato, e con l’antropologia «da un punto di vista pragmatico» dall’altro?

Dipartimento di Filosofia, Sapienza Università di Roma - 3/4 giugno 2015